LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi

Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave

Con gli allievi dell’Opera Studio dell’ADADS (Accademia dell’Arte dello Spettacolo)

Direzione Musica e Pianoforte Marco Beretta

Messa in scena Alberto Oliva

Assistente alla messa in scena Arianna Aragno

Disegno Luci Alessandro Tinelli

Costumi Arte Scenica – Reggio Emilia

Makeup APTA Accademia Professionale di Trucco Artistico Società Umanitaria

Personaggi e interpreti:

Violetta, Soprano Luni Lee

Alfredo Germont, Tenore Chung Hwanjoo

Giorgio Germont, Baritono Lee SeungWan

Annina, Soprano Sachimi Yamada

Flora, Mezzosoprano Mae Hayashi

Gastone, Tenore Ju SeongJung

Barone, Baritono Lee Jeongdal

Marchese/Dottore Seham Minegishi

DEBUTTO Teatro Rosetum, Milano – 26 febbraio 2016

Violetta, un’opera d’arte che lentamente si distrugge

All’inizio dell’opera, vediamo Violetta sul piedistallo come una statua, un’opera d’arte immacolata (lei stessa si paragona a Ebe, che noi conosciamo soprattutto attraverso la splendida scultura di Antonio Canova). La malattia – che nella tradizione viene considerata tisi, ma che più probabilmente dovrebbe essere sifilide, viste le frequentazioni della donna e il fastidio che pare avesse Verdi verso i colpi di tosse delle interpreti, che non sono scritti nella partitura – qui diventa una metafora del decadimento di una creatura eterea, non umana, nel momento dell’incontro con la realtà, in tutta la sua brutalità.

La regia punta, quindi, a scolpire Violetta come una statua, lontanissima dal tempo in cui vivono gli altri personaggi, immacolata e distante, mentre tutti la fotografano e cercano di avvicinarla con ammirazione e curiosità.

Nel secondo atto Violetta è diventata una donna in carne ed ossa, vive la vita reale che tutti conoscono, sembra felice, sembra essersi abituata alla sua nuova condizione di umana normalità. Ma la quiete viene travolta dall’arrivo improvviso e inatteso del padre di Alfredo, che mette fine all’idillio, disprezzando, con il suo pragmatismo ottuso, l’incontro dell’arte con la realtà. Non ci crede, ha paura, e impone il suo rifiuto.

Alla festa da Flora, Violetta soffre, si sente tagliata fuori, inadeguata alla sua condizione di partenza, in cui si cerca di riportarla, ma altrettanto inadeguata alla mondanità normale dell’alta società. Resta in disparte, come un pesce fuor d’acqua, ammirando se stessa come un’opera d’arte, ingigantita in un’icona che tutti si contendono al gioco. Si sdoppia e si specchia in se stessa senza più riconoscersi.

La malattia che la conduce alla morte è la corruzione della sua purezza. Quasi come nel Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, c’è un legame stretto e perverso tra la persona fisica e il suo ritratto. Alla fine coincideranno, e l’effige che Violetta dona ad Alfredo è l’immagine di lei stessa morente.

Violetta Valery, una vita per l’arte, che diventa arte attraverso la sua vita.

Che, peraltro, è proprio quanto hanno fatto Dumas prima e Verdi poi, immortalando Marie Duplessis in queste opere immortali.

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